Sandro Giacobbe, 50 anni di carriera di un pilastro della musica italiana

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di Massimo Iaretti

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A volte le cose belle nascono per caso neanche le avessi cercate cento anni. Così è avvenuto per questa intervista. Era una sera di fine aprile, cerco al telefono l’amico Vittorio Mazza, non lo trovo, mi scrive su whatt’s app che è alla Terrazza Colombo di Genova per i 50 anni di carriera di Sandro Giacobbe. Da giornalista gli chiedo subito se può mandarmi due foto, che arrivano, e pubblico un articolo. Il giorno dopo gli chiedo di mettermi in contatto con il cantautore, lo fa, ci sentiamo direttamente e Giacobbe, gentilissimo, è subito d’accordo per l’incontro da cui nascerà l’intervista, e un’amicizia. Qualche giorno e ci vediamo a Chiavari, nella bella cornice del Gran Caffè Defilla, dove c’è anche Vittorio. E da un lungo colloquio nasce questa intervista che conferma, una volta di più le doti umane, oltre che artistiche di questo pilastro della musica italiana.

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Sandro Giacobbe, 74 anni e 50 di carriera nel mondo della musica. Come è nato il cantante e l’autore ?

D’estate, da piccolo ero parcheggiato dai miei genitori a Genzano di Lucania. I miei nonni erano della Basilicata ed erano contadini. Al mattino, intorno alle 5 salivo anche io sul camion che portava i contadini nei campi  ed ero sul cassone con loro. Avevo quattro – cinque anni e anche se non capivo la melodia, la assimilavo e cantavo.

Quindi la musica è un qualcosa che si è cresciuto dentro ?

Ero attratto dalla musica, ogni volta che c’era un programma musicale ascoltavo le canzoni e le imparavo. Nel 1965 con un biglietto con lo sconto ‘giovani’ andai a Genova a vedere il concerto dei Beatles, in un contesto dove tutti urlavano, le ragazzine si strappavano i capelli. E anche noi, come gli altri, eravamo impegnati ad urlare più che ad ascoltare. Da lì ho deciso che quella sarebbe stata la mia strada e ho cercato di formare il mio primo complessino.

Era un altro mondo rispetto ad oggi ?

Non è possibile fare un paragone, sarebbe come dire è più bravo Pelè o Maradona. Sono stati due momenti decisamente diversi, chi cantava negli anni Sessanta – Settanta era in una realtà decisamente differente da quella odierna.

Qual era il tuo modello di cantante o cantautore ?

Nei primi anni qualsiasi, il modello ideale è arrivato con il boom di Lucio Battisti che ho seguito sin dai tempi di ‘Balla Linda’. Da lì in avanti Battisti è stato per me un esempio nel modo di comporre, nel modo di scrivere, nel modo di comporre canzoni, nelle armonie.

Rapporti con la scuola genovese ?

Sono nato a Genova, in una famiglia operaia da padre siciliano e mamma lucana, sono cresciuto a Genova ma non ho mai legato con la cosiddetta Scuola Genovese dei Paoli, Lauzi, De Andrè, Bindi, Tenco, tutti grandissimi ma erano un’altra generazione, io ero orientato verso i Lucio Battisti, i Lucio Dalla.

E Don Backy ?

Lui è toscano, ha scritto le strofe di una canzone chiamata Genova, io ho fatto il resto ma devo dire che ha descritto Genova meglio di un genovese, come Paolo Conte, astigiano in ‘Genova per noi’.

Il successo arriva con ‘Signora Mia’. Come è andata ?

Siamo nel 1972 – 1973, avevo già fatto un paio di singoli. Facevo il barista e una persona che veniva al bar mi disse che c’era un editore già di successo per aver portato in Italia caonzoni come ‘In the summertime’, ‘Mamy blue’,’L’isola di Wight. Era Bob Lumbroso, un tunisino che viveva a Parigi e si era trasferito a Milano con la famiglia. Incontrandomi mi disse che c’era un ragazzo che scriveva dei testi e avrebbe visto bene un nostro sodalizio di lavoro. Conobbi così Oscar Avogadro, iniziammo a lavorare e a vederci un paio di volte al mese. Erano i tempi dei ‘viaggi della speranza’ alla volta di Milano dove c’erano le maggiori case discografiche comprese le multinazionali. Questi viaggi della speranza di un giorno al mese andarono avanti per un paio d’anni fino a quando ….

Fino a quando ?

Fu una casualità. Il produttore alla sera non prese l’auto ma la metropolitana e incontrò il direttore generale delle Messaggerie Musicali, Franco Crepax, il quale gli chiese se avesse un giovane cantante. A Roma era, infatti, esploso Claudio Baglioni. Gli venne risposto che c’era un ragazzo che veniva da Genova.  Ed è così che il lunedì successivo mi trovai al cospetto di Alfredo Cerruti, che all’epoca aveva una relazione con Mina ed era direttore artistico CGD e aveva creato gli Squallor. Arrivai con la mia chitarra, gli feci sentire alcuni pezzi, non mi sembrava entusiasta. Gli dissi poi che avevo una cosa non finita, mi misi a intonare la melodia di Signora Mia. Rimase come paralizzato, chiamò Daniele Pace, mi fece ripetere il tutto in ufficio e mi disse ‘Tu e Daniele dovete fare un LP”, cosa che avvenne con una sequenza che era una sorta di film iniziando con Signora Mia e terminando con Signora Addio”.

E’ una storia vera ?


Si è la storia di un ragazzo di 19 anni con una signora di 35 che finisce.

A memoria sembra di rivedere ‘Il laureato’ …..

In quel periodo uscirono due pellicole una era appunto ‘Il laureato’ con le musiche di Simon e Gargunkel, l’altra ‘Malizia’ con Lauras Antonelli.

Quanto c’è di Sandro Giacobbe nelle storie delle sue canzoni ?

Sono storie autobiografiche vere, quel ragazzo ero io. Come nel ‘Giardino proibito’. Mi chiudevo nella mia cameretta con la chitarra e nascevano le melodie, poi i testi erano messi giù insieme a Pace ed Avogadro. Daniele pretendeva che gli raccontassi i particolari e da questi traeva la frase ad effetto, poi con Oscar elaborava in forma poetica. In Signora Mia, Oscar non è citato come autore ma in quelle successive si.

Quelli sono stati anche anni in un certo senso di goliardia ?

Ce ne sono tanti ma uno su tutti lo voglio ricordare: dovevamo registrare un programma televisivo con Adriano Celentano e Pace aveva inzuppato il tampone della casse con una fiala puzzolente. Ogni volta che Adriano, lo toccava col piede, l’odore mefitico aumentava e lui non se ne dava ragione. C’era voglia in tutti noi di scherzare e di ridere. L’abitudine era che quando un LP era terminato c’era l’ascolto generale con tutti. Non ti dico le risate quando c’erano quelli degli Squallor.

Ma erano anche tempi di censura ?

Fino a un certo momento è esistita e tutte le canzoni passavano le forche caudine del censore. Se il disco era verde la incidevi, altrimenti la incidevi ma non passava in radio o in televisione. E anche con gli Occhi di tua madre’ è rimasta bloccato a Sanremo perché alcune frasi erano state considerate oscene e vennero cambiate.

Parliamo di Sanremo …

Ho vissuto il Festival 3 volte in 3 situazioni diverse. La prima al Teatro del Casinò, con la tele in bianco e nero. Era un’epoca particolare nel 1976, C’erano belle canzoni e gli Occhi di tua madre ero in testa all’ultima votazione. Allora votavano le redazioni dei giornali e speravo che il Secolo XIX votasse un genovese. Invece mi trovai terzo. Ma fu la mia fortuna: ‘Non lo faccio più” di Peppino Di Capri non la ricorda più nessuno, la mia fa parte della storia della canzone. La seconda fu nel 1983 all’Ariston dove non c’era l’orchestra ma si cantava con il play back. E fu Vasco Rossi che a un certo momento, prima del finale della sua canzone, si staccò dal microfono con la musica e la canzone che proseguivano. Io portai Primavera. La terza volta è stato nel 1990 con ‘Io vorrei’

Torneresti a Sanremo ?

Sino a 2 anni fa l’avrei fatto volentieri. Con l’attuale format avrei dei dubbi, sarei praticamente tritato. A parte i Ricchi e Poveri che si sono allienato a questo sistema o hai vent’anni e vieni fuori da un social o rischi di non essere considerato.

Differenze con i cantautori politicamente impegnati ?

Con Oscar Avogadro ho vissuto spalla a spalla con una persona che era schierata sulle posizioni di Lotta Continua. Io cantavo, suonavo, lavoravo per mantenermi, erano due mondi diversi. E proprio questa differenza è stata alla radice della interruzione del rapporto artistico con Oscar, nel 1978 dopo il sequestro Moro.

Da allora sono andato avanti da solo con l’eccezione di ‘Sarà la nostalgia’ che meriterebbe che è una storia nella storia.

C’è una canzone delle tue che preferisci ?

Ogni canzone ha il suo momento è alcune come ?Il giardino proibito’ e ‘Occhi di tua madre’ sono andate forte in Spagna e in Sudamerica.

Sandro Giacobbe oggi è ancora sulla breccia ?

Per i cinquant’anni di carriera è uscito un Cd ‘Signora mia sapessi – 50 volte di ho sognato’ dove ci sono tutti i successi e una canzone cui tengo molto ‘Lettera al Gigante’ scritta da mio figlio Andrea. Ci sono state interviste su radio e giornali e dal 26 maggio inizio a Crotone un tour che mi porterà in tutta Italia. E ‘Senora mia’ è anche il romanzo polisensoriale, con video e canzoni miei, scritto da mia moglie Marina Peroni, finito di stampare nel mese di aprile di quest’anno.

Un ultimo argomento, ma totalmente differente. Il tuo rapporto con il calcio e la Nazionale Cantanti ?

Nel 1980 vengo chiamato da Mogol per formare la squadra di calcio dei cantanti. Lo vedo a Bologna con Morandi, Tozzi, Mingardi, Fogli e gli dico che al massimo avrò  giocato 10 partite scapoli-ammogliati e niente più. Comunque ne divento socio fondatore. Intanto, però, mi alleno due volte alla settimana al Boiardo per migliorare e piano piano divento un perno della difesa, giocando in 20 anni 270 partite. Nel 2000 Renzo Uzzechin di Chiavari mi spinge a fare il corso allenatori a Coverciano, dove trovo molti atleti del Genoa e della Sampdoria tra cui Roberto Mancini. Prendo il cartellino di allenatore e come tale debutto in panchina a Firenze contro i piloti di Formula Uno, con i quali non avevamo mai vinto. Con noi c’era Battistuta in porta. Termina 1-1 con loro che pareggiano a cinque dalla fine. Da allora sono sempre rimasto allenatore della Nazionale cantanti. Ho anche allenato una squadra di Terza categoria il Monilia che oggi limita la sua attività al settore giovanile.

E qui è terminato il lungo colloquio con Sandro Giacobbe, grande artista e grande uomo, dotato di grande simpatia (i superlativi in questo caso non difettanom durante il quale è stato raggiunto anche dalla moglie Marina,. del cui libro parleremo prossimamente.

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