Perché scrivere ancora poesie?

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di Maria Antonella Pratali

Perché scrivere ancora poesie? E che cosa significa, oggi, scrivere poesie?
Le risposte possono essere molteplici. Alcune le abbiamo trovate, implicite e concrete, ascoltando tre poeti con stili molto differenti tra loro, che ci hanno offerto le proprie opere sabato 18 ottobre alla Biblioteca Comunale di Vignale Monferrato: Sandro Buoro, Pier Carlo Guglielmero e Silvia Oppezzo, introdotti da Maria Rosa dell’Angelo, alla presenza della Sindaca Tina Corona. 
Ascoltando alcuni brani  della silloge “Eyes Wide Open” di Buoro, (Latorre editore) comprendiamo, per esempio, che scrivere versi è un modo autentico di dire ciò che non trova spazio nel linguaggio quotidiano. Immersi come siamo in un mare di parole, che troppo spesso non parlano al nostro animo, ecco che la poesia ci offre uno spazio di lentezza e di ascolto attivo, una forma di resistenza al linguaggio consumato e superficiale, un ridonare vita alle parole, rimettendole in contatto con la parte più profonda di noi.
I versi liberi di Buoro ci restituiscono un’emozione, un ricordo, una ferita, una nostalgia, una rivelazione. Chi li scrive e chi li ascolta o li legge si incontra in uno spazio minuscolo ma denso, dove il tempo rallenta e l’animo può respirare e (ri)connettersi all’animo altrui. Buoro rimette al centro l’imperfezione, la carne e la voce di chi non c’è o non c’è più, per continuare a credere che la poesia possa ancora trasformare qualcosa. 
E in effetti la poesia trasforma la realtà o il modo di percepirla, diverso per ciascuno di noi, come dimostrano le composizioni poetiche di Guglielmero e Oppezzo, nella loro silloge “Testo a fronte” (Edizioni Sisifo).  Una stessa esperienza, un medesimo spettacolo che ci offre la natura, un uguale notturno possono suscitare in noi riflessioni, emozioni e sentimenti differenti, a seconda delle nostre inclinazioni, delle diverse declinazioni del vivere e del percepire la vita. E così “la nostalgia di una vita irraggiungibile/la nostalgia di un futuro inesistente/la nostalgia che possiede il tempo” di Guglielmero hanno come contraltare, nella pagina a fronte, come la traduzione da una lingua a un’altra, i versi di Oppezzo: “Non ci resta […] che ridere/per camuffare le lacrime/per colmare l’abisso di nostalgia./Non ci resta che stemperarla/nel caldo azzurro abbacinante/della promessa d’estate.” La tentazione dello sguardo cupo di un animo che tende al pessimismo viene stemperata e addirittura ribaltata dalla luminosità pervicace di chi vuole aprire il dialogo con l’altro (con tutti noi) per ricordargli che la Vita è come la pioggia che cade uguale su chi l’accoglie e su chi la vorrebbe respingere; e allora tanto vale cantarci sotto, aspettare che passi e magari, abbandonandosi con fiducia, coglierne i lati positivi, forse anche divertendosi.
Per tornare alla domanda iniziale, potremmo rispondere facendo nostre le parole di Paul Celan: “La poesia è forse ancora possibile; e se lo è, lo è come atto di sopravvivenza”. 

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