di Maria Antonella Pratali

Tredicesima puntata – 13 maggio – Gurgussum e Massaua

Arrivati a Gurgussum, parcheggiamo l’auto e ci dirigiamo alla reception. Mentre G. provvede alla registrazione, S., rosso in viso, mi sussurra: “Devo stare attento e risparmiare le forze, perché temo che mi venga un colpo di calore”. Ah be’, penso, il caldo riesce a sgretolare persino gli anticorpi zen! Io, invece, decido di abbandonarmi al caldo e mentalmente gli dico: “fai di me ciò che vuoi”. Ci avviamo alle camere, notiamo con sollievo che tutte e tre sono dotate di ventilatore a soffitto e condizionatore. Decidiamo le sistemazioni, ci infiliamo il costume e ci lanciamo in spiaggia, per rinfrescarci nelle acque del Mar Rosso.
Sono ormai le 16, la sabbia finissima è rovente, guadagniamo in fretta l’acqua. Se pensavamo di trovare refrigerio, sbagliavamo. Il mare è quasi bollente. Dopo un primo momento di sconcerto, camminiamo verso il largo in cerca di correnti fresche, per renderci conto che potremmo trovarle forse al di là della barriera corallina. Troppo pericoloso allontanarsi tanto. Giochiamo un po’ con le piccole onde, la tensione e la stanchezza si sciolgono, l’acqua salata così calda è un’ottima talassoterapia e anche un peeling eccellente, lo noto sulla pelle quando rientro per farmi la doccia. Dopo una sosta al bar, ci attende una cena a Massaua.
Arrivati in città, parcheggiamo l’auto e ci addentriamo nel centro storico. Vicoli decrepiti di una città devastata che, tra le macerie, tenta di mostrare i suoi antichi fasti, ciò che resta dei palazzi costruiti dagli ottomani e poi dagli italiani. Qui iniziò il colonialismo italiano, che nel 1885 ne fece la prima capitale dell’Eritrea. Massaua è affascinante e respingente insieme. Porta ancora i segni della distruzione provocati dai Mig etiopici armati con bombe a frammentazione israeliane, lanciate ininterrottamente dal 1990 al 1991, durante la guerra di liberazione eritrea. E dire che era denominata “la perla del Mar Rosso”. Si dice che camminare tra i suoi suk era come aggirarsi tra i versi di una poesia. Gli edifici, costruiti principalmente con blocchi di corallo, furono distrutti dal napalm e dalle bombe a grappolo dell’Etiopia, senza graziare i civili. Oggi, in War Memory Square, troneggiano i tre carrarmati Commander, Giaguar e Tigre, simbolo del sacrificio di molti giovani dell’Eplf (Fronte di Liberazione dell’Eritrea), che combatterono contro le truppe di Menghistu, spalleggiate dall’Unione Sovietica. Girovagando per le strade della città, incontriamo a poco a poco le antiche costruzioni che emergono come fantasmi dalla grande calura. Cerchiamo l’ombra sotto i portici o sotto le fronde di qualche albero; più in là, guardando verso il porto, le gru si stagliano in faccia al sole, come per sfida.
La città si sviluppa su alcune isole, collegate tra loro da ponti. Una di queste è Sheik Said, detta l’Isola Verde per la forte presenza di mangrovie. Non molto lontano sorge l’arcipelago delle Isole Dahlak, vero paradiso naturalistico. Il sole va giù presto, quando si è vicini all’equatore. L’aria si fa meno rovente, dal mare sale una leggera brezza; si può cominciare a pensare alla cena.
(Continua. Cena da Sallam – interni o antri? – banda di felini in azione)