di Patrizia Monzeglio
Woody Allen è tante cose: la comicità di “Provaci ancora Sam”, la genialità di “Zelig”, la New York
intellettuale di “Manhattan”. In una storia di regia che dura da più di cinquant’anni anni, e che
sfiora il primato di Hitchcock con altrettanti film, Woody Allen è anche l’autore di commedie che
ripetono uno schema ricorrente: la storia d’amore fra una giovane donna e uomo maturo o tra una
ragazza benestante e uno scrittore agli esordi. Nell’intreccio a volte si innesta la complessità
dell’amore e la comicità viene relegata, quando c’è, a qualche rara battuta, perché il tema è serio:
riguarda la realizzazione dell’individuo a scapito di un rapporto di coppia e la ricerca di un
sotterfugio per uscire da una situazione complicata eliminando chi è d’ostacolo.
L’imprevedibilità del destino, che gioca a salvare o a punire, Woody Allen l’aveva affrontata ad alto
livello in “Crimini e misfatti” (1989) e in “Match Point” (2005), ottenendo per quest’ultimo anche
l’Oscar per la miglior sceneggiatura.
L’ultima sua opera, “Un colpo di fortuna”, ripropone il tema in una storia di ambientazione parigina
che è stata accolta favorevolmente dalla critica ma con un tiepido riscontro da parte del pubblico. Il
regista gode di un seguito di estimatori che confermano il loro apprezzamento anche per questo
film dove, fin dalle prime scene, ci si immerge nel mondo a cui Allen ci ha abituato: la fotografia di
Storaro, la musica jazz, un certo modo di far recitare gli attori, uno stile inconfondibile che ti fa
sentire a casa, ritrovando anno dopo anno certe atmosfere. Ma per qualcuno tutto questo non
basta, è troppo poco per reggere la durata di una pellicola che, anche se si riscatta con un finale a
sorpresa, rimane per il resto piuttosto piatta.
La fotografia sa esaltare i caratteri dei protagonisti, luce calda per Fanny, tonalità azzurrognole per
Jean che, come dice Vittorio Storaro (tre Premi Oscar), «si intensifica quando monta la tensione».
Ogni situazione è sottolineata da un suo colore. Quello che manca è invece una sceneggiatura
robusta, una storia convincente e dialoghi all’altezza della fama del regista.
È vero, non si possono fare cinquanta film realizzando cinquanta capolavori, per questo non
mettiamo in discussione il diritto di Woody Allen di sperimentare e anche di replicarsi. Ma se la
critica elogia la messa in scena, le sequenze, la maestria con cui è realizzato il film, i rimandi a
Godard, noi semplici spettatori guardiamo soprattutto al risultato di quella strana alchimia che è
cinema e questo film, che intreccia commedia e giallo, riflessioni sulla vita e sugli effetti delle
coincidenze, ci è parsa un’opera che scorre sullo schermo e lì rimane, senza quel coinvolgimento
emotivo che ci sarebbe piaciuto provare anche questa volta.
Speriamo quindi che “Un colpo di fortuna” non chiuda la carriera del regista, come sostiene
qualcuno, e che il prossimo anno ci riservi “un coup de chance” per vedere ancora una volta
Woody ai suoi massimi livelli.
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