ASMARA E OLTRE: istruzioni per sorprendersi (21/23)

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di Maria Antonella Pratali

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Ventunesima puntata – L’impresa coloniale del fascismo – Che c’entra Bob Marley?

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L’impresa coloniale vide i maschi italiani protagonisti assoluti, e inevitabilmente nacque il topos letterario della “sensualità” delle belle abissine. Sulla stampa italiana si narrava di una sessualità ben più presente che in Italia, donne facili che i conquistatori, in quanto tali, possono prendere a piacimento, e che debbono essere grate per essere state prese da un maschio bianco. La canzone “Faccetta nera”, colonna sonora dell’invasione dell’Etiopia nel 1935, è in fondo un inno alla conquista sessuale della colonia. 

Lo stesso Montanelli, all’epoca impegnato nei rastrellamenti tra i villaggi etiopi, racconta che molti italiani si prendevano una giovane abissina come bottino di guerra. La giovane che si prende lui, come dichiarato da lui stesso in un’intervista alla RAI del 1969, ha solo dodici anni. Presa con un finto matrimonio e poi abbandonata, ovviamente.

A differenza di altre potenze coloniali, l’Italia perde di botto tutti i suoi possedimenti in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale. Ciò impedì al nostro Paese di vivere il fenomeno della decolonizzazione, che invece in altri Paesi ha favorito la riflessione e il dibattito. L’Italia del dopoguerra non fa i conti con il proprio passato, sia quello coloniale, sia quello fascista. Anzi si fa strada il già citato mito degli “italiani, brava gente”.

Nel discorso alla conferenza di pace di Parigi, De Gasperi, pur ribadendo la distanza del governo repubblicano e democratico dal fascismo, reclama il diritto a continuare l’esperienza italiana in Libia, Eritrea e Somalia, per non vanificare le opere messe in atto per ‘civilizzare’ quei popoli. Ma otterrà solamente l’amministrazione fiduciaria sulla Somalia italiana.

Tuttavia l’impronta italiana resta molto rilevante nelle ex colonie, da cui si formano Stati indipendenti delimitati dai confini tracciati dagli italiani.

L’Etiopia e l’Eritrea costituiscono una federazione, fino a quando Addis Abeba non cerca di inglobare Asmara, scatenando una lunga guerra.

Nella narrazione italiana post bellica, non esistendo il dibattito sulla decolonizzazione, gli italiani si autoassolvono da qualsivoglia brutalità perpetrata dai loro soldati. I governi repubblicani si rifiutano di consegnare alla giustizia internazionale criminali di guerra come Rodolfo Graziani, il “macellaio di Fezzan”, che si macchiò anche della strage di Addis Abeba (19-21 febbraio 1937) in cui si contano in modo molto approssimato 19.000 vittime civili. (vd. I. Campbell, “Il massacro di Addis Abeba. Una vergogna italiana”, Rizzoli, 2018).

Si sottolinea invece la costruzione di strade, ponti e infrastrutture, che ovviamente servivano a facilitare l’invasione, e dunque all’epoca più utili agli occupanti che agli occupati.

Ottant’anni di colonizzazione non passano senza lasciare una qualche traccia nella cultura e nella lingua italiana. Si citi ad esempio l’espressione ‘ambaradan’ per indicare una grande confusione: deriva da Amba Aradam, massiccio montuoso etiopico presso cui gli italiani sconfissero nel 1936 l’esercito del Negus a seguito di una battaglia particolarmente cruenta. Badoglio sconfisse gli etiopici con l’uso di gas e altri agenti chimici vietati dalle convenzioni. 

Sul campo rimasero ottocento italiani, seimila etiopici. “Per giorni, dopo la sconfitta, l’aeronautica sgancia sessanta tonnellate di iprite sulle colonne di soldati etiopi in ritirata, composte anche da popolazione civile in fuga. Si stimano oltre ventimila morti” (vd. il già citato A. Del Boca, “Italiani, brava gente?”). Un vero e proprio crimine di guerra, ricordato sotto forma di espressione scherzosa, come ad esempio: “cos’è tutto questo ambaradan, metti un po’ in ordine!”.

Infine pochi ricordano che il rastafarianesimo, quello di Bob Marley e dei dread lock, è una religione che ha le sue radici nel ras Tafari Maconnen, divenuto poi l’imperatore Hailé Selassié, Negus Neghesti (il re dei re). Che combatte e resiste finché può, poi fugge, per poi ritornare e riconquistare la propria terra contro gli invasori italiani. 

(Continua. Nuove foto. Che lingue si parlano in Eritrea? Moneta. Religioni)

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