AL CINEMA PER VOI. “LE CITTÀ DI PIANURA”, quando la vita è un gelato sprecato

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di Maria Antonella Pratali

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Nel nuovo film di Francesco Sossai il Nord-Est italiano si racconta attraverso i suoi bar, le luci al neon, le strade secondarie e i paesaggi di provincia, in cui si muovono umani dai volti stanchi o, come nel caso dei due protagonisti, sfatti dall’alcol.Dopo “Altri cannibali” (2021) il regista bellunese, che si è formato all’Accademia Cinematografica di Berlino, prosegue la sua esplorazione della vita ai margini, nei luoghi lontani dal turismo di una terra nota quasi esclusivamente per le Dolomiti e la Laguna.
Due uomini di mezz’età, Carlo e Doriano, vivono di “zingarate” rincorrendo l’ultimo bicchiere. In una delle loro scorribande notturne incontrano Giulio, un giovane studente di architettura impacciato e un po’ rigido, e lo introducono al caos e all’ironia della vita. Ne nasce un “road movie” fatto di pompe di benzina, molto alcol, battute divertenti e silenzi, in cui si intravede la malinconia che fa da sfondo anche alle risate. La stessa malinconia che trasmette la colonna sonora di Krano (alias Marco Spigariol) che fa da contrappunto alle immagini.
I personaggi non cercano risposte, non sono alla ricerca di un senso, ma semmai di compagnia e di amicizia, nel vuoto che li circonda. La pianura veneta, filmata da Massimiliano Kuveiller, diventa un luogo dell’anima: piatta, lattiginosa, abbandonata; e tuttavia accogliente grazie ai gesti minimi e ai dettagli umani di chi la abita.
I due adulti sono “troppo vecchi per crescere”, rappresentanti di una generazione smarrita, ma scafati abbastanza da prendere in ridere i fallimenti e le aspettative deluse. Il giovane è la loro controfigura, un ragazzo che osserva e impara, l’unico le cui aspettative vengono addirittura superate dalla realtà. Come in una delle scene finali in cui arriva per caso al Memoriale Brion dell’architetto Carlo Scarpa, suo fulgido esempio, e lo trova persino più bello di quanto avesse appreso dalle immagini.  Il rapporto che si crea tra i due cinquantenni e il giovane dà adito a riflettere su ciò che significhi crescere, invecchiare, fallire, perdere, attendere e per qualcuno attendere invano, sprecando il proprio tempo.
Proprio come il magnifico gelato che Doriano, nella scena finale, si fa sfuggire di mano per vederlo spiaccicato sull’asfalto.  

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