di Patrizia Monzeglio
È sempre interessante vedere come un regista interpreta un romanzo, ancor più curioso è mettere
a confronto due registi che, a distanza di un quarto di secolo l’uno dall’altro, prendono spunto da
un testo per ricavarne una sceneggiatura e realizzare un film.
Netflix ci offre questa possibilità mettendo a disposizione la mini-serie “Ripley” di Steven Zaillian e,
contemporaneamente, il film di Minghella uscito nel 1999. Entrambe le opere sono tratte dal
romanzo di Patricia Highsmith “Il talento di Mr. Ripley” (1955), già oggetto di trasposizione
cinematografica nel 1960 con “Delitto in pieno sole” di René Clément, con un giovane Alain Delon.
La pellicola di Anthony Minghella, protagonista Matt Damon, aveva riscosso un certo successo
anche se le numerose candidature agli Oscar e ai Golden Globe nell’anno 2000 non si erano
tramutate in statuette. Solo Jude Law aveva poi ottenuto il Premio Bafta come “miglior attore non
protagonista”. Il film, godibile ancora oggi, non riusciva però a creare la suspense necessaria per
essere un vero e proprio thriller, al contrario di quanto accade alla serie girata da Steven Zaillian.
In quest’ultima infatti, il battito di una sveglia che scandisce i secondi e accompagna le prime
immagini è in grado di trasmettere fin da subito il senso di inquietudine che pervade l’intero
racconto, un sottofondo di tensione enfatizzato dalla bellezza fredda e irreale del bianco e nero,
dal silenzio in cui si svolgono molte scene, dalla lentezza e ripetitività dei gesti che rendono la
serie insolita e affascinante, unica nel suo genere.
“Ripley”, thriller di rara eleganza, fa emergere l’abilità dell’attore Andrew Scott nel dare al suo
personaggio quel tocco di ambiguità e assenza di empatia che la natura patologica del
protagonista richiede, un essere manipolatore che con cinica ambizione pianifica crimini ed inganni
a scapito di coloro che lo circondano, in un crescendo di azioni e reazioni.
Scordatevi la pittoresca e colorata Italia da cartolina di Minghella. Zaillian offre agli estimatori
raffinate immagini con contrasti di luci ed ombre, insolite inquadrature, grande attenzione ai
dettagli, ricercatezza di ambientazioni.
Interessanti, anche se forse un po’ troppo enfatizzati, sono i richiami all’arte per sottolineare la
psicologia del personaggio. Ripley, attratto da un artista come il Caravaggio con il suo passato
burrascoso, sembra trovare una qualche forma di identificazione con il pittore e le sue opere, come
la figura di David che regge la testa di Golia, un David dall’espressione più compassionevole che
crudele. Picasso invece è presente nel film con l’opera “Il chitarrista”, un quadro che mette in
evidenza la frammentazione della forma, così come frammentata risulta essere l’identità del
personaggio inventato da Patricia Highsmith.
Anche se non si ama il genere, “Ripley” è una serie che merita attenzione e Zaillian dimostra con
essa il suo talento da regista. Quello di sceneggiatore lo conoscevamo già avendolo conosciuto
quando uscì “Schindler’s List” , meritato Oscar nel 1993.
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